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Rolando Rivi, il seminarista ucciso dai partigiani

Rolando Rivi, il seminarista ucciso dai partigiani

Aveva soltanto 14 anni. Qualche tempo fa è stato proclamato Beato

Rolando Maria Rivi era nato il 7 gennaio del 1931 a San Valentino, frazione di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, da una modesta famiglia di contadini. Giovanissimo, nel 1942, entrò nel seminario di Marola (Carpineti), assecondando la sua precoce vocazione di consacrare l’anima a Dio e di diventare sacerdote. Quelli, però, erano tempi assai difficili con la guerra che stava devastando l’intero continente europeo e anche la penisola italica. Nel 1944 i tedeschi, ritirandosi verso nord incalzati dalle truppe alleate che risalivano a grandi passi lo Stivale, occuparono il paese e ciò determinò anche lo sgombero dell’edificio con i seminaristi costretti a fare le valigie e a tornare a casa. E così anche il piccolo Rolando dovette raggiungere suo malgrado la famiglia in quel di San Valentino. Era così attaccato al suo abito talare, però, che non volle mai privarsene anche quando aiutava il padre nei lavori campestri o si fermava sotto un albero a studiare. Più volte i genitori gli consigliarono di togliersi la nera tonaca anche perché nella zona, che alla fine della guerra fu ribattezzata con il nome inquietante di “triangolo della morte”, c’erano stati parecchi episodi di odio antireligioso da parte dei partigiani che combattevano i nazi-fascisti ed erano stati uccisi alcuni sacerdoti. Il giovane, però, non volle sentire ragioni e continuò ad indossare l’abito da seminarista che sentiva come la sua seconda pelle. Fino a che, il 10 aprile del 1945, un gruppo di partigiani sequestrò brutalmente Rolando mentre si trovava in campagna a leggere un libro. Sul posto fu lasciato un bigliettino indirizzato ai genitori: “Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani”. Ma perché il seminarista era stato rapito? Di quale grave crimine si era macchiato ad onta della sua giovane età? I partigiani lo accusavano di essere una spia e un informatore dei tedeschi. Accuse, com’è facile capire, del tutto prive di fondamento. In effetti l’odio nei confronti di Rolando risiedeva esclusivamente in quell’abito talare da cui non si era mai voluto separare, anche dopo aver lasciato il seminario di Marola. Il giovane fu condotto in un casolare nascosto nel bosco di Piane di Monchio, nel modenese, e dopo tre lunghi giorni di percosse, maltrattamenti, umiliazioni e sevizie, fu ucciso a colpi di pistola il 13 aprile. Così il padre Roberto racconta gli ultimi attimi di vita del figlio: “Lo portarono a Monchio e dopo averlo tenuto insieme a loro, torturandolo e seviziandolo, il 13 aprile 1945, un venerdì, alle 15 del pomeriggio, lo portarono in un boschetto che era poco distante dalla casa ove erano alloggiati. Il ragazzo quando ha visto la buca scavata, e questo particolare me lo ha raccontato dopo uno di loro, ha chiesto di poter fare una preghiera al suo papà e alla sua mamma. Si è inginocchiato sulla buca. In quell’istante lo hanno fulminato”. La sera del giorno seguente il padre di Rolando, assieme al parroco di San Valentino, don Alberto Camellini, avvalendosi delle indicazioni di alcuni del posto e di qualche partigiano impietosito dalla triste vicenda, riuscirono a recuperare il corpo del povero Rolando: il volto era livido e tumefatto dalle percosse subite ed evidenti erano le ferite di arma da fuoco, una alla tempia sinistra e l’altra all'altezza del cuore. Recuperata la salma la trasportarono a Monchio dove si svolsero le esequie e, a seguire, la sepoltura. Nel “Liber Mortuorum” di quella chiesa un sacerdote, compilando il ferale atto, così annotò: “Rivi Rolandus, filius Ruperti et Canovi Albertinae, statu celebs... aetate annorum 14, die 13 aprilis currentis, hora 19, per manus hominum iniquorum, in Comunione Sanctae Matris Ecclesiae, animam Deo reddidit”.  Rolando, dunque, traducendo letteralmente dal latino, fu ucciso per mano di “uomini iniqui”. Il 29 maggio del 1945 il corpo di Rolando fu traslato nel cimitero di San Valentino, il suo paese natale dove, ben presto, la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi. Infine nel giugno del 1997 ci fu un nuovo spostamento all’interno della chiesa di San Valentino: da allora il suo corpo è adagiato tra i parroci di quel tempio, nel posto in cui sicuramente Rolando avrebbe desiderato riposare in eterno. Ma chi furono i responsabili di così efferato crimine? Nel 1951 la Corte di Assise di Lucca, dopo un procedimento che suscitò molto scalpore, individuò in Delciso Rioli, detto “Narciso”, e in Giuseppe Corghi, gli esecutori materiali del delitto e li condannò a 22 anni di reclusione. Condanna questa che fu confermata l’anno seguente dalla Corte di Assise d’Appello di Firenze. Il Rioli era il comandante della banda partigiana “Nello Pini”, inquadrata nel battaglione “Frittelli” della divisione “Modena Montagna”. Il Corghi, invece, che i giudici nella sentenza di condanna definiscono “uomo politicamente fanatico e sostenitore ad oltranza dell’odio di classe”, era il commissario politico dello stesso battaglione. Dei 22 anni di carcere i due ne scontarono soltanto 6 in quanto si giovarono di un provvedimento di amnistia. Le loro responsabilità, però, erano così lampanti che persino l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Sassuolo non poté fare a meno di osservare che “per quell’omicidio furono condannati i responsabili, che pur avendo avuto un ruolo nelle formazioni partigiane della zona, commisero un reato di delinquenza comune e non furono spinti da ragioni ideologiche come si vorrebbe far intendere”. Una dichiarazione che, se da un lato avvalora la tesi di un delitto compiuto da delinquenti comuni, dall’altro, in maniera molto più subdola, tende ad escludere qualsiasi motivazione ideologica o di odio religioso. Con il passare del tempo la tomba di Rolando divenne sempre più frequentata e oggetto di pellegrinaggi da ogni parte d’Italia. S’iniziò addirittura a parlare di alcune guarigioni miracolose ottenute tramite la sua intercessione. Il 7 gennaio del 2006 l’arcidiocesi di Modena ha avviato la causa di beatificazione e di canonizzazione del “Servo di Dio” Rolando Rivi. Nel maggio del 2012 la Commissione Vaticana ha approvato la validità del martirio subito “in odium fidei”, spalancando le porte alla sua beatificazione. Infine il 28 maggio del 2013 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti riguardanti 63 nuovi Beati e tra essi vi è anche Rolando Rivi. Una storia drammatica quella del giovane seminarista reggiano, che dovrebbe servire da severo monito contro qualsiasi tipo di odio, sia esso religioso, politico o sociale. E invece c’è ancora qualcuno che di sotterrare l’ascia di guerra non ne vuole proprio sapere. Qualche anno fa anni fa i gruppi consiliare di Pdl e Lega al comune di Reggio Emilia chiesero di intitolare a Rolando Rivi, per il quale era già in corso la causa di beatificazione, una strada della città. La richiesta, però, fu respinta dalla maggioranza di sinistra guidata dal sindaco Graziano Del Rio, poi diventato ministro nel governo Letta. Chissà se nel frattempo l’ex sindaco ed ex ministro avrà cambiato opinione al riguardo. Per ravvedersi c’è sempre tempo.