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Roccasecca-Sora-Avezzano: una ferrovia carica di storia

Roccasecca-Sora-Avezzano: una ferrovia carica di storia

A volte può accadere che anche i rami secchi, irrorati da una robusta dose di acqua e di concime, possano tornare, come per incanto, a rifiorire. E’ quanto accaduto alla gloriosa ferrovia Roccasecca-Sora-Avezzano che, dopo un lungo periodo di chiusura a causa di lavori di manutenzione, è tornata a svolgere il suo puntuale servizio di collegamento. Eppure questa volta erano in tanti a credere che l’antica tratta avesse definitivamente chiuso i battenti, sacrificata alla necessità di una spending review che si accanisce, specie in tempi di grave crisi economica, contro le realtà considerate improduttive.

Proprio come quella linea di cui sopra che già da tempo le Ferrovie dello Stato hanno inserito nell’elenco dei “rami secchi”. E invece, inaspettato o quasi, è accaduto il miracolo, anche per merito di una mobilitazione generale che ha coinvolto comitati civici, amministratori comunali e consiglieri regionali laziali e abruzzesi, che una volta tanto hanno deciso di marciare compatti verso l’obiettivo mettendo da parte divergenze di natura politica. E così l’elegante “littorina” è tornata a sfrecciare (si fa per dire) tra colline verdeggianti e imponenti viadotti sull’unico binario che da Roccasecca conduce a Sora per poi inoltrarsi nel territorio abruzzese, perpetuando una storia antica che risale al declinare dell’Ottocento. Storia che merita di essere raccontata almeno nei suoi punti salienti. Una prima idea di realizzare una ferrovia che dalla media valle del Liri raggiungesse Sora e l’Abruzzo, per poi proseguire verso la costa adriatica ed allacciarsi alle ferrovie austriache del Lombardo-Veneto, risale al 1853 quando il barone Panfilo De Riseis, Presidente del Consiglio Provinciale dell’Abruzzo Citeriore, propose la cosa al re Ferdinando II di Borbone. Poi, però, non se ne fece nulla e si dovrà aspettare parecchio per vedere riproposto il progetto. Dopo alcuni tentativi, tutti abortiti negli anni immediatamente successivi all’unità d'Italia, fu nell’estate del 1879 che, ottenuto il parere favorevole della Camera dei Deputati, con la legge n. 5002 del 29 luglio si stabiliva la realizzazione della “linea di II categoria” Roccasecca-Sora-Avezzano che si snodava su di un percorso dalla complessa morfologia per una lunghezza di 75 km. La stessa legge stimava il costo presunto dell’opera in 18 milioni e 200 mila lire di cui 16 milioni 380 mila a carico dello Stato e il rimanente 1 milione e 820 mila lire a carico delle province e dei comuni interessati dall’attraversamento della tratta. Un grosso contributo allo sblocco della pratica lo dette l’on. arpinate Angelo Incagnoli (1819-1884), avvocato, letterato ed economista, esponente della sinistra storica, deputato alla Camera dalla XIII alla XV legislatura e Presidente della Provincia di Terra di Lavoro dal 1878 al 1884. I lavori, affidati all’impresa di costruzione Gaetano Martire per il tratto fino a Sora ed all’impresa Strangolini per il successivo fino ad Avezzano, iniziarono nei primi mesi del 1880 e andarono avanti molto a rilento specialmente per il terreno accidentato che rendeva indispensabile far ricorso a frequenti tunnel (sono ben 23 per quasi 15 km lungo l’intero percorso: la sola galleria Scrime, che inizia subito dopo la stazione di Santopadre e si conclude nei pressi di quella di Arpino, misura 2.152 metri) e ad imponenti viadotti, veri capolavori ingegneristici che ancora oggi suscitano ammirazione. Solo il primo luglio del 1891 poté essere aperto il tronco Roccasecca-Sora mentre occorreranno altri dieci anni per raggiungere Avezzano (20 agosto 1902). Lungo i 75 chilometri del percorso da Roccasecca ad Avezzano, affidati alla gestione della Rete Mediterranea, si trovavano le stazioni di Arce, Fontana Liri, Arpino, Isola Liri, Sora, Balsorano, San Vincenzo Valle Roveto, Civita d’Antino-Morino, Civitella Roveto e Capistrello, oggi chiuse e quasi tutte in stato di completo abbandono. Prima dell’ultimo conflitto mondiale sulla linea a binario unico ogni giorno erano attive tre corse: la prima partiva alle 4.25 da Roccasecca, giungeva a Sora alle 6.11 e infine ad Avezzano alle 8.40. La partenza della seconda era alle 11.25 con arrivo a Sora alle 13.01 e ad Avezzano alle 15.00. Infine l’ultima corsa partiva da Roccasecca alle 18.05, faceva tappa a Sora alle 19.26 e giungeva ad Avezzano alle 21.23. Sul treno viaggiavano soprattutto operai e studenti, come del resto accade anche ai giorni nostri. Particolarmente utile si rivelò la Roccasecca-Sora-Avezzano in occasione del terribile sisma che devastò il sorano e la Marsica il 13 gennaio del 1915, facendo parecchie migliaia di vittime. In questa tragica circostanza la linea ferroviaria facilitò non poco l’arrivo in loco dei soccorsi, dei materiali e il trasporto dei feriti nei vari ospedali. Poi, qualche decennio dopo, venne la guerra con tutto il suo pesante carico di morte e distruzione. I guastatori tedeschi ritirandosi dal fronte di Cassino, per rallentare il più possibile l’avanzata degli alleati, devastarono in più punti la linea ferroviaria facendo crollare gallerie, ponti e viadotti. Ci vollero ben 700 milioni di lire per rimettere tutto a posto e lunghi lavori di ripristino. Il tratto Roccasecca-Sora fu riaperto il 16 aprile del 1948. Per la Sora-Avezzano, invece, si dovette aspettare il 4 gennaio del 1959. Questa la storia gloriosa di una ferrovia che si snoda sinuosa in un contesto ambientale di incomparabile bellezza tra la media piana del Liri e la contigua vallata abruzzese di Roveto. Una ferrovia che dopo essere risorta dalle macerie immani della guerra rischiava di essere cancellata dall’indifferenza e dal menefreghismo. La minaccia, però, è stata sventata, almeno per ora. Ma qualcosa ci dice che in futuro torneremo a riparlarne. E’ questa, d’altro canto, la sorte di una tratta che, nata come “linea di seconda categoria”, rischia ad ogni refolo di vento di trasformarsi in un cimelio storico, lucente, di gran pregio ma, ahimè, senza anima né vita. E sarebbe una vera iattura per un territorio già di per sé afflitto da una persistente marginalità socio-economica ma anche culturale. Un’evenienza nefasta che deve essere scongiurata. Proprio com’è stato fatto più volte.