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La “stele della vergogna” di Santa Esdra a Pontecorvo

Gli organi d’informazione locale hanno dato molto risalto, qualche tempo fa, al raid vandalico che ha portato alla distruzione della stele che si trovava in località Santa Esdra, a Pontecorvo. Stele che ricordava i soldati francesi morti combattendo valorosamente durante la seconda guerra mondiale sul fronte di Cassino.

Stele della vergogna”, com’è stata ribattezzata da chi ricollega quel monumento (che ora non c’è più), alle inaudite violenze delle quali si sono resi responsabili i soldati marocchini, inquadrati nel Corpo di Spedizione Francese. Ma è veramente così? Davvero quella stele vuole (o voleva) ricordare quelle belve umane con tanto di turbante e scimitarra che non si fecero scrupolo di violentare, donne, uomini, vecchi e bambini in quel tragico maggio del 1944? Secondo il prof. Angelo Nicosia le cose non starebbero proprio così in quanto quella stele ricorda «il cimitero dove furono sepolti soldati francesi in gran parte cattolici». Si tratta, per la precisione, di 175 soldati le cui spoglie, dopo varie peripezie, sono approdate nel cimitero militare francese di Venafro, dove sono sepolti all’incirca seimila uomini, in gran parte di nazionalità marocchina, tunisina e algerina, che facevano parte del Cef (Corps Expéditionnaire Francais en Italie) agli ordini del generale Alphonse Juin. Nicosia deduce che si tratti di soldati di religione cattolica dal fatto che in alcune vecchie fotografie  appare su più di qualche tomba una croce di legno. In altre, invece, la croce non c’è e questo farebbe pensare che siano soldati di religione musulmana. Come accade, del resto, nel cimitero di Venafro dove ci sono tombe collocate accanto alla cappella (cattolici) ed altre attorno al minareto, con le lapidi rivolte in direzione della Mecca (musulmani). Su tutte, comunque, c’è la scritta “morto per la Francia”. Ma questo, a ben vedere, non sposta di un millimetro il problema. Che si tratti di soldati francesi cattolici oppure di “goumiers” musulmani, quei 175 uomini appartenevano al Corpo di Spedizione Francese in Italia che si è reso responsabile di crimini orrendi e di violenze bestiali che hanno suscitato unanime sdegno e raccapriccio. E non può esserci distinzione di religione che tenga. La stele di Santa Esdra, quindi, ricorda (anzi ricordava) gli autori di quelle violenze che non possono trovare giustificazione alcuna. Forse il generale Juin non ha emesso quel proclama con il quale concedeva cinquanta ore di “libertà” ai suoi soldati, ma è indubbio che quella “libertà” i rudi contadini venuti dall’Atlante se la presero tutta e fecero quel che ben ricordano, con gli occhi ancora pieni di terrore, i nostri nonni. Mia madre mi raccontava che in quei drammatici giorni il padre costringeva lei e le sue sorelle a stare chiuse, anzi serrate, in casa e a non uscire per nessuna ragione al mondo. Per fortuna a Roccasecca i marocchini non passarono e così mia madre e le sorelle non ebbero problemi. Ma in altri paesi i problemi ci furono e non solo i “goumiers” si sporcarono le mani di sangue. Anni fa ebbi modo di intervistare una signora di Pico, ultranovantenne, che ricordava con sorprendente lucidità quei fatti. Mi raccontò, mentre le lacrime le increspavano il volto avvizzito, di aver assistito, nascosta in un cespuglio, alla violenza di una donna del suo paese che venne presa da più soldati marocchini mentre un ufficiale “bianco” dirigeva da vicino le “operazioni”. Mi confidò, poi, che anche gli ufficiali francesi parteciparono spesso alle violenze di gruppo. E allora la domanda è la seguente: ma è davvero importante conoscere la religione di chi si macchiò di crimini così orrendi? E ancora: perché è stata consentita, a suo tempo, di apporre quella lapide in un paese come Pontecorvo che ha conosciuto sulla sua pelle quell’orrore e quell’abominio? E adesso cosa si farà? Ci si piegherà di fronte alla vibrata protesta del governo francese e si provvederà a ripristinare, lì, a Santa Esdra, quella stele? E se invece il nostro Paese pretendesse finalmente le scuse dalla Francia per quei crimini così aberranti? Non le sembra una buona idea, caro sindaco Rotondo? Si faccia interprete di questa iniziativa che rappresenterebbe il giusto e sacrosanto tributo, sia pure tardivo, a tutte quelle donne e quegli uomini che aspettavano i “liberatori” e invece si sono visti ghermire da un branco di belve assetate di sangue. E poi, a pensarci bene, si potrebbe fare un’ultima cosa: innalziamo una lapide a quelle povere vittime innocenti. In questo concordo con il prof. Nicosia. Anche a Sant’Oliva, perché no. Sarebbe un doveroso atto di giustizia nei confronti di tutti quei poveretti il cui supplizio non merita di essere condannato all’oblio eterno.