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Ustica, una lunga sequela di morti sospette

Qualche mese fa molte reti televisive hanno rievocato la strage di Ustica essendo trascorsi 40 anni da quel tragico evento. Le ricostruzioni sono state tutte più o meno interessanti anche se carenti da un preciso punto di vista: nessuna di esse, infatti, ha parlato, al di là di qualche fugace accenno, della lunga sequela di morti sospette collegate all’evento. Argomento che ho trattato già qualche anno fa nell’ambito di un’inchiesta giornalistica che ha avuto molto risalto. Siccome la materia sembra essere tornata di attualità, grazie anche a quelle trasmissioni di cui sopra, ho pensato di riproporre quell’inchiesta a beneficio dei frequentatori del mio sito.

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Aeroporto di Bologna, 27 giugno 1980, ore 20.08. Il DC9 IH 870 dell’Itavia decolla in direzione di Palemo. Alle 20.59, mentre si prepara all’atterraggio in quel di Punta Raisi, s’inabissa improvvisamente nel Tirreno, a 3.600 metri di profondità, nel mare blu cobalto dell’isola di Ustica. A bordo ci sono 77 passeggeri e 4 membri di equipaggio. Ma cosa accadde davvero in quella calda notte d'estate? Dopo quarant’anni la verità è ancora nascosta tra le pieghe inestricabili dei nostri segreti di stato. La sentenza-ordinanza del giudice Priore, emessa nell’agosto del 1999, recita testualmente: “L’incidente del DC9 è occorso a seguito di azione militare d’intercettamento, il DC9 è stato abbattuto”. Ma non chiarisce né il come né il perché né, tanto meno, per mano di chi. I periti che hanno esaminato i resti dell’aereo non sono giunti a conclusioni univoche mentre le commissioni parlamentari d'inchiesta non sono riuscite a cavare un ragno dal buco. In quella triste storia sono tante le cose che non quadrano. Ad iniziare da una lunga sequela di morti sospette che desta profonda inquietudine. Qualcuno potrebbe pensare ad una sorta di caccia alle streghe. E invece così non è. Gli stessi magistrati che si sono occupati del caso hanno affermato che “coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati”. Parole che ci inducono a scavare un po’ più a fondo sulla vicenda. Il 3 agosto del 1980, in un incidente stradale sull’Aurelia, muore il colonnello Pierangelo Tedoldi che avrebbe dovuto assumere il comando dell’aeroporto militare di Grosseto. L’ufficiale non è collegato direttamente ai fatti di Ustica. Il sospetto risiede sulla possibilità che a quel tempo nell’aeroporto grossetano potevano esistere ancora prove di una verità difforme da quella ufficiale che il colonnello avrebbe potuto denunciare all’autorità giudiziaria. Ciò autorizzerebbe a pensare ad un incidente stradale dolosamente “provocato”, anche se la ricostruzione della polizia stradale ha smentito tale ipotesi. Il 9 maggio del 1981 muore a causa di un infarto, a Grosseto, il capitano Maurizio Gari, capo controllore della sala operativa della difesa aerea presso il 21° Cram (Centro Radar Aeronautica Militare) di Poggio Ballone. L’ufficiale era in servizio la sera di Ustica e la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità. Non è stato riscontrato, però, alcun collegamento con la causa del decesso che è sembrata naturale nonostante la giovane età, aveva soltanto 32 anni, e l’assenza di cardiopatie congenite. A meno di non ipotizzare che il peso della verità, o qualche minaccia ricevuta a causa di essa, abbia provocato il malore fatale. Il 23 gennaio del 1983, in un incidente stradale sulla statale Scansanese, perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Di ritorno da un impegno politico si era fermato all’altezza di un bar posto sull’altro lato della strada. Nell’attraversare viene travolto da un ciclomotore e rimane ucciso sul colpo. Qualcuno sostiene che avesse importanti informazioni sul caso Ustica tratte da confidenze fattegli da un ufficiale dell’aeroporto di Grosseto. Confidenze che aveva intenzione di raccontare ai giudici. Anche questa volta, però, l’incidente appare del tutto casuale. Potrebbe rientrare in tale filone anche la morte del generale Licio Giorgieri ucciso il 2 marzo del 1987 a colpi di arma da fuoco a Roma, da un commando delle Brigate Rosse-Unione Comunisti Combattenti. Il tenente colonnello Sandro Marcucci, che poi morirà in uno strano incidente aereo, stava compiendo una sua personale inchiesta sulla vicenda del DC9 e sull’aereo libico ritrovato sulla Sila. Secondo la sua ricostruzione questo velivolo sarebbe partito dall’aeroporto di Pratica di Mare la sera fatidica del 27 giugno del 1980 e solo per un astuto depistaggio era stato fatto ritrovare tra i monti calabresi qualche settimana dopo. Sembra che Marcucci fosse riuscito a convincere due testimoni a deporre in tal senso davanti al giudice Priore. Uno di questi era proprio il generale Giorgieri. Il secondo testimone era Angelo Carfagna, sottufficiale dell’aeronautica in servizio a Pratica di Mare, che si tolse la vita gettandosi dalla finestra della sua abitazione di Cecchina, vicino Roma, il 3 gennaio del 1996. E così entrambi i testimoni del colonnello Marcucci sono passati, in tragiche circostanze, a miglior vita. Il 31 marzo del 1987 viene trovato impiccato ad un albero, sul greto del fiume Ombrone, nei pressi di Grosseto, il maresciallo Mario Alberto Dettori in un modo che la stessa polizia scientifica definisce “innaturale”. Il sottufficiale era controllore di difesa aerea presso il Cram di Poggio Ballone e si trovava in servizio, assieme al capitano Gari, anche la sera del 27 giugno del 1980. Da quel giorno Dettori perde la sua tranquillità e sprofonda in un grave stato di depressione. Alla moglie e ad altre persone confida più volte di essere rimasto molto scosso da ciò che aveva visto quella sera quando “si era sfiorata una guerra” per la qualcosa si rischiava di “finire tutti in galera”. L’amministrazione militare lo manda in Francia per qualche tempo ma ciò non serve a molto. Tornato in Italia la depressione si acuisce tanto che passa gran parte della giornata a smantellare la casa alla ricerca di microspie. Per non parlare, poi, di un misterioso francese che rimane spesso con lui e che sparisce dopo il suicidio. Si è tolto la vita il maresciallo Dettori, è stato indotto al fatale gesto oppure è stato suicidato come ipotizzano in molti? Anche in questo caso prove non ce ne sono. Oppure chi ha indagato non ha voluto trovarle. Il 12 agosto del 1988, in un incidente stradale a Lamezia Terme, muore il maresciallo Ugo Zammarelli, investito da una Honda 600 condotta da un tossicodipendente. Il sottufficiale era stato in servizio presso il Sios (Servizio Informativo Operativo e Situazioni dell’Aeronautica) di Cagliari ed era impegnato nelle indagini riguardanti il Mig libico. Qualche tempo prima aveva confidato ad un amico giornalista di temere per la propria vita. Pochi giorni dopo, il 28 agosto del 1988, a Ramstein, in Germania, nel corso di un’esibizione, perdono la vita i capitani Mario Naldini e Ivo Nutarelli delle Frecce Tricolori. Il gravissimo incidente provoca la morte di 59 spettatori mentre 368 restano feriti. Ma cosa c'entra tale tragico evento con Ustica? Forse niente. O forse no. I due ufficiali, infatti, la sera del 27 giugno del 1980 erano in volo su un intercettore F104 fino a dieci minuti prima della scomparsa del DC9 Itavia. L’intercettore si posa nell’aeroporto di Grosseto alle ore 20.45, mentre alle 20.50 atterra un altro F104 condotto da un allievo. E’ molto probabile che i due abbiano registrato qualcosa nei loro strumenti di bordo. Quanto all’allievo pilota, nel corso degli interrogatori, è parso sempre molto titubante e quasi terrorizzato. La stranezza, comunque, sta nel fatto che l’incidente di Ramstein abbia coinvolto proprio i due piloti che la sera di Ustica si trovavano in volo più o meno sulla scia dell’aereo dell’Itavia. Piloti che la cui testimonianza sarebbe stata molto utile per lo sviluppo delle indagini. Qualche dubbio esiste anche sulla collisione in volo. Un filmato, infatti, testimonia la presenza su di una terrazza di due persone non identificate che armeggiano con un telecomando. Fatto sta che lo scoppio e la successiva fiammata si verificano dopo che gli aerei si sono incrociati nell’acrobazia, escludendo perciò l’ipotesi della collisione e facendo propendere per quella dell’attentato. I capitani Nutarelli e Naldini avrebbero dovuto presentarsi, di lì a qualche giorno, davanti al giudice per spiegare alcune strane circostanze della notte di Ustica. Prima fra tutte il motivo per il quale si erano levati in volo la notte del disastro per poi rientrare pochi minuti dopo il decollo. Il 1 febbraio del 1991, a Vibo Valentia, viene assassinato con tre colpi di pistola nell’addome il maresciallo Antonio Muzio che nel giugno del 1980 era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme. E, in quanto tale, potrebbe aver assunto informazioni sul Mig libico caduto sulla Sila. Come scrisse il settimanale “L’Europeo” l’aeroporto di Lamezia Terme era “uno scalo direttamente coinvolto nella vicenda del Mig libico, del suo recupero sulla Sila e della sua restituzione a Gheddafi ”. Anche questa volta gli inquirenti non hanno riscontrato connessioni dirette. Il 2 febbraio del 1992, in un incidente aereo durante un’operazione antincendio sulle Alpi Apuane, muore il tenente colonnello Sandro Marcucci. Nel 1980 il Marcucci era pilota presso la 46^ aerobrigata di Pisa. Egli, come ribadì più volte il testimone Mario Ciancarella nel corso del dibattimento, era a conoscenza di notizie importanti sul DC9 dell’Itavia. Le indagini della magistratura non rivelarono niente di strano nella caduta del Piper ritenuta assolutamente accidentale. Enrico Brogneri, nel suo bel libro “Ai margini di Ustica ”, così scrive: “Le bruciature riscontrate sui reperti del piccolo velivolo e sulla persona del colonnello Marcucci, hanno alimentato il sospetto di sabotaggio. La magistratura sta indagando sulla possibilità che il Piper sia precipitato per lo scoppio di un ordigno al fosforo collocato sotto il pannello dei comandi”. E poi, mistero nel mistero, il rinvenimento nella bara di un pezzo del motore, tutto fuso tranne un piccolo tubicino di gomma. Il fuoco, dunque, ha sciolto il metallo ma non la gomma. Ma chi ha messo tale reperto nella bara? Forse qualcuno che voleva far scoprire la vera dinamica dell’incidente. Ciò malgrado la magistratura non accertò alcunché di illecito. Il quotidiano “Il Tirreno” ha dato notizia di un’intervista nella quale, appena cinque giorni prima della morte, il colonnello Marcucci aveva duramente attaccato, accusandolo di corruzione, il generale dell’aeronautica Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto di Pisa dal 1976 al 1979, responsabile dei servizi segreti dell’aeronautica ai tempi del disastro di Ustica e poi finito nei registri degli indagati per la stessa vicenda. Da più parti, anche di recente, si è chiesta a gran voce la riapertura del caso Marcucci che presenta molti punti oscuri. Lo stesso 2 febbraio 1992, e questo già di per sé è una stranezza, in un incidente stradale in provincia di Lecce, muore il maresciallo Antonio Pagliara che nel 1980 svolgeva le funzioni di controllore di difesa aerea nel 32 Cram di Otranto. Poteva, quindi, aver saputo e visto qualcosa sulla vicenda del Mig libico. Ancora una volta, però, l’incidente viene ritenuto casuale. Il 12 gennaio del 1993, a Bruxelles, dove si trova per lavoro quale consulente dell’Alenia, viene assassinato il generale Roberto Boemio che nel 1980 era stato capo di Stato Maggiore presso la III^ regione aerea di Bari. Alcune sue dichiarazioni rese nel corso del dibattimento erano state giudicate molto interessanti sia per il fatto di Ustica che per lo strano caso dell’aereo libico. La magistratura belga non è mai riuscita a dare un volto ai colpevoli dell’omicidio maturato, a quanto sembra, nel corso di un tentativo di rapina. Il generale Boemio aveva prestato servizio anche presso la Nato. La sera della morte era stato a cena con un suo amico, tale Giorgio Sulprizio, già ufficiale dell’aeronautica. Nella sua autovettura è stata rinvenuta una cospicua documentazione di provenienza Nato. Il 2 novembre del 1994 il maggiore medico Gian Paolo Totaro viene trovato impiccato ad una sbarra ad un’altezza di poco superiore al metro. Nel 1980 l’ufficiale era in servizio presso la base delle Frecce Tricolori a Ghedi. Gli inquirenti hanno ricollegato il suicidio ad una delusione sentimentale. Il 21 dicembre del 1995 il maresciallo Franco Parisi viene trovato impiccato ad un albero in un terreno alla periferia di Lecce. Nel 1980 il sottufficiale era controllore di difesa aerea presso la sala operativa del 32 Cram di Otranto assieme al maresciallo Pagliara, morto qualche tempo prima in un incidente stradale. La sera del 27 giugno non era in servizio mentre lo era la mattina del 18 luglio 1980 quando si sarebbe verificato l’incidente del Mig libico. Parisi aveva ricevuto parecchie minacce e nel primo interrogatorio era caduto più volte in contraddizione. Doveva comparire ancora una volta davanti ai magistrati il 10 gennaio del nuovo anno ma si toglie la vita qualche giorno dopo aver ricevuto la citazione in giudizio. Gli stessi inquirenti hanno prospettato un omicidio ma di prove concrete non se ne sono raccolte. E così, come già per il maresciallo Dettori, si è ritenuto che il suicidio sia stato determinato da uno stato psichico di profonda frustrazione, legato forse alla conoscenza di fatti diversi da ricostruzioni ufficiali, con riferimento sia alla strage di Ustica che al Mig libico, che fonti interne all'aeronautica militare non hanno voluto che trapelassero. E qui si chiude la lunga sequela delle morti sospette, ben 15, tutte connesse, in un modo o nell’altro, con la vicenda, ancora poco chiara, di Ustica. Episodi che appaiono tutti collegati tra loro come nel più affascinante dei libri gialli. Con un’unica differenza: Ustica non è l’invenzione di un geniale scrittore in cerca di fama e notorietà, ma un evento realmente e tragicamente accaduto che ha provocato la morte di 81 persone i cui corpi sono ancora in gran parte custoditi negli abissi marini. Nel ferale computo vanno aggiunti anche i decessi dei quali abbiamo parlato. E il tutto perché? Per tenere rigorosamente celato uno dei misteri più agghiaccianti della storia d’Italia, per occultare complicità palesi e imbarazzanti che scuotono le fondamenta istituzionali del nostro paese. Intanto i familiari di tutte quelle vittime innocenti aspettano ancora di conoscere la verità.