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La Legge Pica

Inorch Scorangef, da ricerche effettuate da Gaetano Marabello che ha dato alle stampe un interessante saggio dal titolo “La Legge Pica (1863-1865). I crimini di guerra dell’Italia Unita nel Sud. La testimonianza di Inorch Scorangef” (Controcorrente, Napoli 2014, pp. 200, euro 10,00) è l’anagramma di Francesco Ronchi (sia pure con una c al posto della g), uno pseudonimo quindi.

Le ragioni per usare questa prudenza non mancavano. Il Ronchi era stato un giudice borbonico, poi caduto in disgrazia. Voleva evitare, pertanto, una pubblicità indesiderata ed una eventuale schedatura come oppositore politico. Il pamphlet contro la legge pica, pubblicato nel 1865, poteva esporre l’autore all’accusa di aver somministrato “notizie e aiuti di ogni maniera” a favore del brigantaggio. E comunque poteva cadere sotto il maglio della censura che colpiva ogni pubblicazione “che dispiacesse al governo del momento”. Nel libro, con introduzione di Edoardo Vitale e prefazione di Nicola D’Argento, si espongono le motivazioni che hanno portato l’autore a scrivere sulla legge Pica e a sottrarre dall’oblio del tempo, pubblicandolo, il coraggioso pamphlet del Ronchi. Ma la parte forse più significativa è l’apparato ricco e corposo delle note che contengono notizie su personaggi e fatti che in qualche modo hanno avuto a che fare con il brigantaggio postunitario. Infine sono raccolti in appendice tredici significativi documenti attinenti all’argomento del libro. Palesemente illegittima fu l’imposizione, tramite invasione, dell’autorità sabauda sui territori del Regno delle Due Sicilie, che manifestò la propria opposizione riuscendo a mettere a dura prova per molti anni un esercito di almeno 120 mila uomini e 80 mila guardie nazionali.  La famigerata legge Pica va considerata come lo strumento con cui l’invasore venuto dal nord cercava di soffocare la ribellione delle popolazioni del Sud e non certo come un mezzo per ripristinare la legalità. Il brigantaggio non fu fenomeno criminale ma un anelito alla libertà. La legge Pica fu un vergognoso atto di forza che istituiva la pena di morte e la politica del sospetto. Veniva ucciso chiunque venisse trovato con un’arma in mano e inviato al domicilio coatto chiunque venisse sospettato di favorire in qualsiasi odo il brigantaggio. Questa legge conteneva poi una vera e propria aberrazione giuridica laddove limitava la sua validità alle sole province proclamate “infestate dal brigantaggio” e non alle altre, violando quindi il principio d’uguaglianza della legge albertina cui diceva ispirarsi il regno sabaudo. Due pesi e due misure che facevano tornare molto utile la volontà di disconoscere ogni valenza politica alla lotta di resistenza in atto nell’ex Regno delle Due Sicilie.    Rocco Biondi