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Il mistero della Gioconda di Leonardo

Chi è davvero la “Gioconda”, la bellissima e misteriosa signora che Leonardo Da Vinci ha dipinto in una delle sue opere più celebri e più conosciute in tutto il mondo? Un interrogativo che dopo 500 anni resta ancora senza una risposta certa. A sentire lo scrittore aretino Giorgio Vasari, che nel 1550 dette alle stampe la sua opera più famosa, “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e archtitettori”, si tratterebbe di Monna Lisa Gherardini, moglie del ricco mercante fiorentino Francesco Del Giocondo (di qui il nome della Gioconda) che gli avrebbe commissionato il ritratto.

La cosa, però, non convince del tutto specialmente perché Leonardo tenne sempre con sé il dipinto senza mai consegnarlo al committente e, quindi, senza mai percepire il prezzo pattuito. E per uno come Leonardo, sempre alla disperata ricerca di soldi, la cosa è incomprensibile. Ecco allora che si fanno avanti altre ipotesi, al di là della nota attribuzione del Vasari. In prima fila, tra le papabili, ci sarebbe Isabella d’Aragona (1470-1524), figlia di Alfonso II di Napoli e di Maria Ippolita Sforza, che nel 1488 andò in sposa a Gian Galeazzo Sforza, legittimo erede del Ducato di Milano. La vita della coppia non fu assolutamente felice. A Milano esercitava un potere pressoché assoluto lo zio di Gian Galeazzo, Ludovico il Moro, che profittando del carattere debole del nipote, confinò la coppia nel castello di Pavia, per tenerla lontano dal centro del potere. E di questo esilio, sia pure dorato, Isabella molto si lamentava con il padre, nel frattempo salito sul trono di Napoli. Nel 1494, a soli 25 anni, venne a mancare Gian Galeazzo. Una morte misteriosa e non è da escludere che fosse stato avvelenato da alcuni sicari dello zio. Che, non a caso, il giorno seguente fu nominato duca di Milano. Qualche anno dopo Ludovico il Moro si sbarazzò anche dell’ultimo erede legittimo, il piccolo Francesco Maria Sforza, figlio di Gian Galeazzo e di Isabella d’Aragona, che fu rinchiuso, con l’accordo del re Luigi XII, in una abbazia francese e qui morì nel 1512, a soli 21 anni, in seguito ad una caduta da cavallo. E anche questa morte fu considerata alquanto sospetta. A questo punto, avendo perso il marito e poi il figlio, alla povera Isabella, non restava che far ritorno a Napoli. E da qui si spostò a Bari, prendendo possesso di alcuni feudi pugliesi e calabresi che Ludovico il Moro le aveva concesso solo per tenerla lontano da Milano. Qui, in una corte nella quale chiamò numerosi artisti e letterati, si trattenne fino al 1523, quando, ammalatasi d’idropisia e sentendo la fine vicina, decise di ritornare a Napoli dove si spense l’11 febbraio del 1524. Dopo le esequie, che furono magniloquenti, fu  tumulata nella sagrestia della basilica di San Domenico Maggiore, dove già riposavano i membri della famiglia aragonese. Fin qui la vita di Isabella d’Aragona. Ma cosa c’entra la duchessa di Milano con la “Gioconda” di Leonardo? Quando nel 1488 Isabella, dopo il matrimonio con Gian Galeazzo, venne a Milano, Leonardo era apprezzato ingegnere di corte e fu proprio lui a predisporre la sontuosa scenografia del banchetto nuziale. Quindi i due ebbero sicuramente modo di incontrarsi e di conoscersi sia nel breve soggiorno milanese di Isabella che in quello più lungo nel castello di Pavia. Non è improbabile, quindi, che Leonardo, colpito dalla bellezza della duchessa, qualche anno dopo abbia elaborato il ritratto: la datazione della “Gioconda”, non a caso, risale al primo decennio del XVI secolo. Ma fin qui restiamo sempre nel campo delle ipotesi più o meno suggestive. Andando però a scavare ulteriormente si capisce che c’è qualcosa di più. Innanzitutto, guardando l’abito indossato da Monna Lisa, spicca il nero, il colore del lutto (nel 1494 Isabella aveva perso il marito), molto simile ai vestiti che in quel periodo indossavano le donne di casa Sforza. Ma c’è ancora di più. Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592), pittore e saggista, nel 1584 diede alle stampe un “Trattato dell’arte della pittura, scultura e architettura”, che a quel tempo ebbe molto successo. In tale opera l’autore, nato vent’anni dopo la morte di Leonardo, si sofferma anche sui suoi ritratti femminili e parla esplicitamente di quello di “Monna Lisa napoletana”. Il riferimento è quanto mai preciso: e chi, se non la duchessa Isabella d’Aragona, nella corte milanese, poteva essere definita la “napoletana”? Qualche studioso è andato addirittura oltre. La storica tedesca Maike Vogt-Luerssen, che studia l’enigma della “Gioconda” da anni, sostiene che tra Leonardo e Isabella vi sia stata una relazione amorosa, che Isabella abbia sposato Leonardo in seconde nozze e che la coppia abbia avuto cinque figli. E che Leonardo non sia stato sepolto ad Amboise, in Francia, ma a San Domenico Maggiore, a Napoli, nella stessa sagrestia dove riposa Isabella e i membri della sua famiglia, assieme ai due figli Maria e Antonio, nelle cosiddette “arche aragonesi”. Sostiene infine che le spoglie mortali di Leonardo siano state portate a Napoli subito dopo la sua morte (1519) dopo che erano state disperse in tre luoghi diversi: la chiesa di San Domenico Maggiore, la chiesa di San Nicola a Bari e la chiesa di Vaprio d’Adda, vicino Milano. Una tesi ardita e affascinante ma che non trova riscontro nella realtà dei fatti, considerato che a San Domenico non è stata rinvenuta alcuna tomba con resti del genio di Anchiano. Almeno fino ad ora. Per il momento ci fermiamo qui ma ci ripromettiamo di tornare sull’argomento: le teorie esposte dalla studiosa tedesca, infatti, sono davvero intriganti.