
Cesare Baronio, il cardinale di Sora
Cesare Baronio nacque il 30 agosto del 1538 a Sora, estremo limite settentrionale del Regno di Napoli, a confine con lo Stato Pontificio. Fece i primi studi in quel di Veroli dove ebbe eccellenti educatori e insegnanti. Dopo di che la famiglia decise di inviarlo a Napoli: qui frequentò con profitto il celebre “studium” di giurisprudenza. Fu però a Roma, dove si era trasferito nel 1557, che conseguì la laurea in “utroqe iuris” ossia in diritto canonicio e civile. Determinante fu l’incontro con Filippo Neri che ebbe modo di conoscere a San Gerolamo della Carità. Il giovane Cesare rimase affascinato dalle parole e dall’esempio del futuro Santo tanto che, ben presto, decise di seguirlo entrando a far parte di quella che, pochi anni dopo, sarebbe diventata la Congregazione dell’Oratorio.
A soli 26 anni, il 27 maggio del 1564, fu ordinato sacerdote presso la chiesa capitolina di San Giovanni dei Fiorentini ove si era costituita e si riuniva periodicamente la prima comunità oratoriana. Qui si dimostrò infaticabile nell’attendere ai suoi compiti di ministro del culto, nel diffondere la parola del Signore, nel praticare la carità e, soprattutto, nelle confessioni che occupavano una parte rilevante della sua giornata. Celebre è rimasto il suo motto: “Chi più si mortifica, più guadagna”. Dio, la Chiesa e le anime erano i suoi principali punti di riferimento dai quali non si allontanava mai. Quel giovane sacerdote così pieno di zelo, infaticabile nei suoi impegni, dotato di una cultura superiore, ben prestò colpì l’attenzione di Filippo Neri che, apprezzando sempre di più le sue doti non comuni, decise di affidargli un compito impegnativo e, per molti versi, improbo: quello di scrivere la storia della Chiesa, in un momento particolarmente difficile per l’esistenza della stessa seriamente minacciata dai movimenti protestanti che infiammavano il nord Europa e dalla riforma luterana. Gli “Annales Ecclesiastici” del Baronio, opera monumentale suddivisa in 12 volumi, rappresentarono il possente baluardo che la chiesa cattolica pose di fronte alla dilagante marea protestante, allo scopo di dimostrare la sua totale aderenza ai più profondi valori cristiani. Del resto era proprio questo il punto sul quale Lutero e compagni insistevano molto, proprio per dimostrare il decadimento progressivo e ormai irreparabile dell’istituzione ecclesiastica romana sempre più alle prese con frivolezze mondane e problematiche di carattere temporale che poco avevano a che spartire con la cura dello spirito e delle anime. La redazione degli “Annales” occupò tutta la vita di Cesare Baronio, dal 1588, anno in cui ricevette l’incarico, fino alla sua dipartita avvenuta nel 1607. E-gli, comunque, riuscì brillantemente nel non facile compito: oggi, non a caso, viene unanimemente considerato il “padre della storia ecclesiastica”. Ma il Baronio non fu solo questo. Il papa Gregorio XIII lo incaricò di mettere ordine e di revisionare il “Martirologio”. Clemente VIII, invece, del quale fu apprezzato e ascoltato confessore, lo nominò Protonotario Apostolico e Cardinale con il titolo dei Santi Nereo e Achilleo. Fu anche prefetto della Biblioteca Vaticana. Filippo Neri, poi, lo designò senza remora alcuna come il suo più degno successore. La sua vita, al di là delle numerose ed elevate incombenze, fu sempre caratterizzata da umiltà, povertà e mortificazione. Passava gran parte del tempo che gli impegni gli lasciavano a stretto contatto con i bisognosi, con gli ammalati e con i peccatori. Un uomo di cotanta levatura non poteva passare inosservato: più volte fu sul punto di essere insediato sul soglio di Pietro. La cosa, però, non si concretizzò esclusivamente per la sua espressa volontà: nel 1605, per ben due volte, il Baronio si affannò a convincere i cardinali a riversare i loro voti su altre personalità in quanto, come era solito ripetere, “il vero umile fugge gli onori quanto più può”. Il 30 giugno del 1607, mentre ancora era febbrilmente impegnato nell’ultimazione della sua opera omnia, minato da una grave malattia allo stomaco, Cesare Baronio rese l’anima a Dio: aveva 69 anni. Il suo corpo venne seppellito alla destra dell’altare maggiore della Vallicella, in quella che lui chiamava il “dolce nido”. Il 12 gennaio del 1745 il pontefice Benedetto XIV conferì al cardinale sorano il titolo di “Venerabile”. Attualmente la Procura Generale dell’Oratorio ha ripreso la causa di canonizzazione che giaceva bloccata da tempo ed è intenzionata a condurla in porto. Sarebbe il giusto premio per un uomo che scelse di mettere tutta la sua vita a totale servizio della Chiesa. E lo fece in un momento assai difficile, quando le sue fondamenta erano scosse violentemente dallo scisma protestante. Se i successori di Pietro seppero reagire con grande vigore e prontezza, respingendo al mittente gli attacchi e disinnescando gli ordigni che minacciavano la credibilità del loro stesso ruolo, una parte del merito va ascritta anche al cardinale Cesare Baronio di Sora. La cui figura, però, ad onta dei convegni tenutisi in occasione della ricorrenza del 400° anniversario della morte e della sua immensa statura, continua ad essere inspiegabilmente trascurata. Eppure dalla sua scomparsa sono passati ormai quattro secoli. Non vi sembra un periodo di tempo sufficiente per elevarlo, finalmente, agli onori degli altari? Oppure anche in questo tipo di “pratiche” occorre una spintarella?