La piccola vittima dell’Olocausto

Sergio De Simone

di Fernando Riccardi

Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la “Giornata della Memoria” per commemorare le vittime dell’Olocausto. E’ stata scelta questa data perché il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, procedendo verso la Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, situato nei pressi della città polacca di Oswiecim. Una stima attendibile vuole che le vittime dell’Olocausto, che si consumò tra il 1933 e il 1945, siano state tra i 15 e i 17 milioni, anche perché, oltre agli ebrei finirono in quella folle macchina di morte prigionieri di guerra, oppositori politici, minoranze etniche, zingari, rom, omosessuali, portatori di handicap e malati mentali. Tante sono le storie che si possono raccontare, tutte contraddistinte da un elevato tasso di drammaticità. Oggi ne vogliamo raccontare una che ha visto come incolpevole protagonista Sergio De Simone, un bambino napoletano di soli otto anni. Figlio di Edoardo, sottufficiale della marina militare e di Gisella Perlow, un’ebrea di origine russa, Sergio viveva a Napoli, nel tranquillo quartiere del Vomero. Nell’agosto del 1943 Gisella e il bambino decisero di trasferirsi a Fiume, dove risiedeva la famiglia della madre, per sfuggire ai bombardamenti americani che stavano devastando Napoli. Ma dopo l’8 settembre e l’armistizio che segnò il disimpegno militare dell’Italia, anche Fiume, come gran parte della Iugoslavia, venne occupata dai tedeschi. Nel marzo del 1944, la famiglia Perlow, colpevole di essere ebrea, venne arrestata: con il piccolo Sergio furono prese anche le cuginette fiumane Andra e Tatiana Bucci di 6 e 4 anni. La prima tappa del trasferimento fu la Risiera di San Sabba, nel triestino, per poi essere condotti nel lager di Auschwitz, in Polonia. Qui giunti, dopo sei giorni di viaggio in carri adibiti al trasporto di bestiame, Sergio e le cuginette furono rinchiusi nella “baracca dei bambini”. Nel mese di novembre Sergio, assieme ad altri 19 bambini, 10 maschi e 10 femmine, fu inviato al campo di concentramento di Neuengamme, nei pressi di Amburgo, per essere sottoposto, come cavia umana, agli esperimenti sulla tubercolosi compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer, discepolo del famigerato Joseph Mengele. Il folle medico era convinto che iniettando bacilli tubercolari nel corpo delle cavie si sarebbe generata una risposta immunitaria tale da poter condurre alla creazione di un vaccino: una teoria schizofrenica e senza alcun fondamento scientifico. Gli esperimenti iniziarono ai primi di gennaio del 1945 e non produssero gli effetti sperati. I bambini, invece, cominciarono a stare male perché la tubercolosi si diffondeva rapidamente nei loro corpi debilitati. Intanto gli alleati si stavano avvicinando e da Berlino partì l’ordine di far sparire ogni traccia degli esperimenti. Nella notte tra il 20 e il 21 aprile del 1945 Sergio e gli altri poveri bambini furono trasferiti nel centro di Amburgo, nella Bullenhuser Damm, una sezione staccata del campo di Neuengamme. E nei sotterranei di quell’edificio furono soppressi con una potente dose di morfina. Furono uccisi anche due medici francesi e due infermieri olandesi, che avevano tenuto in vita e curato i bambini durante il ciclo degli esperimenti. I cadaveri furono riportati a Neuengamme e lì cremati. I responsabili di tale orrendo crimine furono processati e condannati a morte: tra questi anche il colonnello Max Pauly, comandante del campo di concentramento. La scampò invece il dottor Heissmeyer che, non avendo partecipato all’eccidio, non fu incriminato. In seguito alla riapertura del caso, però, fu processato e condannato all’ergastolo: morì d’infarto nel 1964 nel carcere di Bautzen. Molto commossa dalla vicenda la signora Barbara Husing, moglie del dottor Heissmeyer, iniziò a rintracciare le famiglie dei bambini uccisi e nel 1979 fondò l’associazione “I bambini di Bullenhuser Damm”. Oggi quella scuola di Amburgo è diventata uno dei simboli dell’Olocausto: vi sono ricordati tutti i nomi dei 20 bambini che lì furono trucidati compreso il nostro Sergio De Simone. In un quartiere di Amburgo, lo Schnelsen Burgwesel, ci sono invece le strade con i nomi di tutti quei venti bambini. A dimostrazione che anche la Germania ha saputo fare i conti con il suo terribile passato. Prima di concludere ancora alcune brevi notizie. La madre di Sergio, Giselle Perlow, trasferita da Auschwitz a Ravensbruck, riuscì a scamparla e sia pure gravemente ammalata poté rientrare in Italia. E qui si ricongiunse con il marito Edoardo che era stato deportato in un campo di lavoro a Dortmund. Per tanto tempo cercarono le tracce del piccolo Sergio ma senza riuscirci. Soltanto nel 1983, grazie alla signora Husing, Giselle Perlow (il marito era già morto) poté conoscere la tragica sorte del figlio. Infine le cuginette Andra e Tatiana Bucci, rinchiuse nel campo di stermino di Auschwitz, riuscirono miracolosamente a salvarsi. Un pallido raggio di sole in una tragedia cupa e raccapricciante.

Colui che non sa darsi conto di tremila anni
rimane nel buio e vive alla giornata
J.W. Goethe

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